FAQ

Le domande più frequenti

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Fino a circa 40 anni fa, la birra era semplicemente la birra denominato per tipo. Molti mercati erano dominati da birrifici di grande scale industriale che producevano spesso birre di gusto uniforme, dal leggero all’insipido. Attorno al 1980, negli USA, dove questa tendenza infelice era particolarmente pronunciata, amatori di birra cominciarono a stabilire nuovi birrifici che cercavano di produrre birre di carattere di vecchi stili ripescati o di nuova creazione. Così nacque il birrificio artigianale (craft brewer) e un’associazione di settore stabilì una definizione per distinguerla dalla birra industriale. In Italia, dove il “movimento della birra artigianale” sorse 15 anni più tardi e la sua associazione di settore aveva la sua definizione.
I punti principali (che erano tratti da una legge del 1962) precisavano: birrifici che erano piccoli e indipendenti e che non usavano pastorizzazione o microfilterazione nelle fasi di produzione. Per convenzione il volume massimo annuale di un birrificio non poteva eccedere 10.000 ettolitri. Recentemente una nuova legge (Collegato agricoltura del 6 luglio 2016, comma 4 bis dell’articolo 2) espletò più ampiamente la definizione e alzò la capacità massima a 200.000 ettolitri.
Però questa definizione saprà anche di ideologico. La definizione dei pionieri della birra artigianale, la associazione americana, permette la pastorizzazione e un volume annuale di circa 7.200.000 ettolitri. Inoltre molti birrifici americani, che cominciavano come piccoli birrifici artigianali, sono riusciti a diventare grandi industrie e continuano a produrre birre artigianali di grande sapore.
In tutto questo si fa notare che non c’è definizione della birra industriale, se non quella che non è artigianale. C’è anche dell’ironia perché quasi tutte le tecniche produttive adoperate oggi dai birrifici artigianali furono sviluppate da birrifici industriali.
Per carità.

È una birra regionale tradizionale. Ricalca uno stile corrente a Modena a fine ‘800 nell’Impero Austriaco ed anche a Modena con i suoi tradizionali legami con Vienna. Birra di Modena viene prodotta secondo una ricetta modenese di quell’epoca in un birrificio della Repubblica Ceca, l’unico paese dove l’industria della birra adopera ancora la tradizionale tecnica di ammostamento per decozione (e non per semplice infusione come in quasi tutte le lager di oggi). Questo processo conferisce alla Birra di Modena un carattere deciso, seppure a fronte di una birra amabile, di moderato grado alcolico.

Sarebbe stato difficile e costoso produrre bene con il processo di decozione in un birrificio artigianale.

Perché è l’unico paese dove si può produrre una birra secondo lo stile corrente a Modena a fine ‘800. Quella birra, pur essendo di carattere deciso e corpo pieno, esaltava il sapore amabile del malto ed era di grado alcolico moderato. Richiede il tradizionale ammostamento per doppia decozione, come precisato nella nostra ricetta che è appunto di quell’epoca. Abbiamo valutato vari birrifici italiani ma nessuno era in grado di utilizzare la decozione se non a costi eccessivi e con risultati poco affidabili perché il metodo è caduto in disuso. Per la lager è stato sostituito da almeno 50 anni, quasi ovunque, dall’ammostamento per infusione, che è più veloce e ha costi energetici più bassi.
Si riferisce a una legge emanata dal Duca Guglielmo IV di Baviera nel 1516, Il Divieto di Surrogato (Der Surrogatverbot), che fu soltanto molto tempo dopo, nel 1918, rinominata La Legge della Purezza (Die Reinheitsgebot). Essa compare sulle etichette della maggior parte delle birre tedesche, ma l’importanza della legge è stata sopravvalutata. Semplicemente riprendeva una precedente limitazione degli ingredienti della birra (esclusivamente luppolo, orzo ed acqua), secondo quanto stabilito per decreto a Monaco nel 1447 ed esteso a tutta la Baviera nel 1487. Oggi è indicato anche il lievito, ma all’epoca la sua presenza non era ancora stata identificata.

L’obiettivo del decreto era di proibire l’utilizzo di ingredienti bizzarri e poco igienici e di indirizzare la produzione di birra all’orzo, risparmiando così le derrate del frumento per la panificazione. Più che altro la legge del 1516 si dilungava su argomenti fiscali.

È anche da notare che questa legge divenne nazionale, estendendosi dunque a tutta la Germania soltanto nel 1906, ancora sotto il nome tecnico di Divieto del Surrogato, poi come Legge della Purezza a partire dal 1918. Fu ignorata dalla Repubblica Democratica Tedesca e nel 1987, dichiarata dalla Corte Europea inapplicabile alle birre importate nella stessa Germania. La legge rimane, comunque, un vanto non soltanto per i birrifici tedeschi, ma anche per quelli di altri paesi che hanno scelto di rispettarla.

Ma è un vanto un po’ sciocco. Si può fare birre di tutto rispetto con un miscuglio di orzo e altri cereali, frumento (adoperato dagli stessi tedeschi, il cui aggiramento della legge viene trattato in un articolo-FAQ complementare), riso, miglio e granoturco. Le nostre birre nazionali hanno spesso una bella dose di granoturco. Inoltre in birre pregiate in tutto il mondo si può riscontrare l’utilizzo degli ingredienti più variegati, dalle spezie esotiche in certe birre belghe alle alghe in certe birre scozzesi.

È possibile grazie ad una scappatoia adottata poco dopo la legge, pertanto, anche gli stimati e ordinati mastri birrai tedeschi hanno seguito il detto “fatta la legge, trovato l’inganno”.
Nel 1516 il Duca Guglielmo IV di Baviera emanò la legge oggi nota come la Legge della Purezza (die Reinheitsgebot), limitando gli ingredienti utilizzati ad orzo, luppolo e acqua.

(Vedi, per cortesia l’articolo FAQ relativo.)

Ma in seguito, con vari ordinamenti (dal 1520 al 1548) lo stesso Guglielmo IV concesse alla casa signorile Degenberg di Schwarznach, come riconoscimento per i servizi resi, il privilegio perpetuo di produrre birra di frumento. Il privilegio era probabilmente considerato di poca rilevanza e venne concesso anche ad altri nel Ducato. Quando, contrariamente alle aspettative, la birra di frumento ottenne un notevole successo, la cosa diede fastidio, e il Ducato ne bandì la produzione in tutta la Baviera eccetto per la casa Degenberg, dove il privilegio in quanto feudalmente perpetuo non era revocabile.

Però, nel 1602, il feudatario della famiglia morì senza successore, e il Duca Massimiliano IV, lungi dalla soppressione della redditizia birra di frumento, riprese il privilegio per sé e la produzione continuò come monopolio della famiglia regnante della Baviera fino al 1798. In quell’anno qualche concessione per la birra di frumento fu rilasciata, ma soltanto perché la sua popolarità era in declino. Rimase una birra quasi sconosciuta fino agli Anni Sessanta, quando si riprese in modo inspiegabile e con grande slancio, fino al punto di diventare il tipo di birra più consumato in Baviera.

Questi due termini sono spesso malintesi.

La denominazione “birra speciale” fa riferimento ad una classificazione legale per gradazione alcolica, per cui abbiamo birre analcoliche (fino ad un ABV di 1,2%), birre light (ABV 1,2-3,5%), birre normali o senza particolare specificazione (ABV 3,6-5,4%), birre speciali (ABV 5,5-5,9%) e infine birre doppio malto o strong e super strong. Birra di Modena, pertanto, rientra tra le birre normali.

La denominazione “birra premium” fa riferimento ad una classificazione commerciale per fascia di prezzo e immagine, per cui si identificano birre economiche, standard e infine premium. Birra di Modena è una birra premium.

I significati sono molteplici e creano una notevole confusione.

Tutto risale all’anno 1842 e alla prima produzione di un nuovo tipo di birra nella città di Pilsen, in Boemia (all’epoca nell’Impero Austro-Ungarico, oggi nella Repubblica Ceca), da parte del birraio bavarese Josef Groll. Utilizzò malto e luppolo locali, entrambi di alta qualità, insieme ad un particolare tipo di lievito (fatto entrare di contrabbando da Groll, secondo la leggenda), e produsse una birra di bassa fermentazione con tecniche bavaresi. Ma a differenza di quasi tutte le birre del tempo (eccetto qualche inglese), era bionda e limpida. Ebbe un grande successo e rivoluzionò la produzione della birra. In Boemia la maggior parte delle birre passò da alta a bassa fermentazione. Si diffuse rapidamente anche in Germania, dove la bassa fermentazione era già presente ma le birre erano scure e torbide e, in seguito, in tutto il mondo.

Dall’episodio derivano vari termini. Con tecnica birraia di Pilsen ci si riferisce al fatto storico anche se per i successivi trenta o quarant’anni la si è chiamata comunemente tecnica birraia della Baviera riferendosi a Groll e ai suoi successori a Pilsen, appunto tutti bavaresi. La birra stile Pilsen si riferisce a birre simili, prodotte anche altrove. Si associa ad un sapore luppolato, ma non necessariamente in modo forte. La versione tedesca, sì, ha marcatamente questa caratteristica. Ora si chiama con l’abbreviazione Pils perché nell’800 i boemi riuscirono legalmente a bloccare l’utilizzo del termine Pilsener in Germania, dove oggi è diventata la lager dominante. Piuttosto amara, si distingue dalle lager amabili della Baviera, in particolare dalla Helles di Monaco. Più genericamente, in molti paesi – ad es. in Italia – Pilsen o Pilsener indica qualsiasi birra bionda di bassa fermentazione, dunque circa l’80% della produzione mondiale della birra.

Birra di Modena è una birra della stessa famiglia boema di quella di Pilsen. Ma non è amara, è amabile.

(In un successivo articolo racconteremo un po’ di Josef Groll, un personaggio al quanto trasandato e di una maleducazione immane, che per la sua creazione della birra Pilsen, sembra, ebbe un aiuto essenziale da un birraio italiano.)

Il termine viene dall’Inghilterra e si riferisce ad una birra di cui si può bere 5 boccali in una seduta, appunto in una session con amici. Va di moda anche come birra beverina. Non rappresenta una sfida al palato con un gusto molto forte e luppolato, è amabile, quindi non è amaro. Non è neanche molto alcolica, ecco perché si possono bere facilmente 5 boccali. Generalmente si trattava di normali birre industriali.

Recentemente, pero, la session beer è stata riscoperta dai birrai artigianali. Consapevoli che, per il gusto amaro e il forte contenuto alcolico, le loro birre scoraggiavano il bevitore normale e non permettevano bevute oltre la singola bottiglia, fecero proprio il termine a modo loro, per vendere volumi estranei al consueto mercato dei puristi.

In realtà, la maggior parte delle birre artigianali sono il contrario di una vera session beer, che deve favorire la compagnia allegra tra amici. Il bevitore di una birra artigianale tipicamente mette il bicchiere contro la luce, esamina, sorseggia in modo contemplativo e poi parla delle tonalità di caramello con sfumature di agrumi. Questo bevitore non fa parte della categoria dei bevitori di session beer, che beve con piacere ma parlano di altri argomenti e non della sola birra.

Birra di Modena è una session beer ideale, di sapore deciso ma davvero facile da bere.